martedì 27 marzo 2012

27 marzo 2012, martedì

Oggi ti parlo di tua bisnonna. La Lea. Quella che faceva le ninna nanne a tua madre con l’Internazionale e Bella Ciao. La staffetta partigiana che conobbe Gino Po, ii comandante Nicola, durante la Resistenza e, per amore e per impegno civile, ne divenne la “segretaria”. Era lei che, dattilografa diplomata, batteva a macchina i bigliettini con gli ordini. Ed era lei che, nascondendoli nelle pieghe della gonna, li recapitava con aria innocente spostandosi per le campagne di Carpi, Limidi e San Marino in bicicletta. Fedele ai suoi ideali, rimase “compagna” fino alla morte, il 27 marzo di quattordici anni fa, quando, nonostante la terapia intensiva, pretendeva che uscissi a comprarle l’Unità. Se ne andò arrabbiata con quel “cajoun ed Bertinotti”, colpevole di avere fatto lo sgambetto a Prodi. Che secondo lei era un “compagno”. Di tutt’altra stoffa tuo bisnonno. Ma questo è un altro film. Te ne parlerò un’altra volta. E della loro complicata storia d’amore.

lunedì 26 marzo 2012


26 marzo 2012, lunedì

Mi sono molto emozionato”. E' questo il commento più ricorrente tra chi mi riferisce di avere letto questo diario. Me lo hanno detto familiari, amici stretti, gente che ci conosce e ci vuole bene e me lo ripetono anche persone che non ho mai visto direttamente. Un effetto non cercato e che, lo ammetto, mi piace. Provare emozioni profonde e riuscire a trasmetterle. Anche se il destinatario ultimo sei solo tu e spero davvero di potere arrivare al giorno in cui lo leggeremo insieme. “Nonno, com'ero quand'ero bambino?”. Non ti sottrarre alle emozioni, non le soffocare come per tanti secoli hanno preteso da noi uomini. La corazza serve per andare in guerra e noi non dobbiamo vivere la nostra vita, i nostri rapporti, come fossimo perennemente sotto attacco. Saremo più forti se chi ci starà di fronte potrà vedere dentro di noi. Un uomo che non piange non è un uomo completo. E tu non ti sottrai di certo! A cominciare da quando hai fame. La nonna, che oggi è stata per la prima volta da sola con te, mentre tua madre era fuori per commissioni, mi raccontava della tua voracità. “Dovevo staccarlo dal biberon per farlo respirare”. “E poi si è addormentato”. “La testa che si abbandonava sulle tettone morbide e il cuore contro il mio cuore”. Vorrebbe già tornare. Deve aspettare fino a giovedì.

domenica 25 marzo 2012


25 marzo 2012

Daddy's dream”. La copertina dell'unico disco da solista di Demetrio Stratos, dove lui è fotografato con un neonato, presumibilmente il figlio, adagiato sul suo avambraccio è l'immagine che da quarant'anni mi ripromettevo di riprodurre e che ora sto ammirando compiaciuto. Valentino, ancora più piccolo, con gli occhietti mezzi chiusi, che riposa sicuro su due braccia possenti, quelle di suo padre, che per il contrasto sembrano ancora più grandi. Già incorniciato.



[Demetrio Stratos, nome poco conosciuto a livello popolare anche nel periodo della sua attività, fu, tra gli anni sessanta e i settanta, una delle voci più interessanti della musica italiana. Agli inizi fece pop, cantand,o nel gruppo dei Ribelli, “Pugni chiusi”, una canzone ancor oggi ascoltata, per poi passare al rock-progressive, una tendenza che tra il '70 e il '77 contagiò anche l'Italia producendo brani talvolta di un certo pregio. Quella fu la stagione dei miei vent'anni, quando conobbi tua nonna e insieme ci piaceva “fare gli hippy”. Viaggi interi in autostop, i chilometri per andare a vedere i concerti negli stadi, i campeggi. E quella era la nostra musica. Demetrio Stratos morì troppo giovane, a 34 anni nel 1979, per un tumore che se lo portò via in pochi mesi. Per pagarli le cure  in America ci fu una delle prime collette-rock cui parteciparono i più importanti gruppi italiani dell'epoca]

venerdì 23 marzo 2012


23 marzo 2012

Un bacio a Valentino”. Ti porto i saluti di un noto politico nazionale che non solo ricordava che un mese fa, in un fugace saluto telefonico, gli dissi di essere appena diventato nonno, ma aveva in mente anche il nome. In un mondo dove nessuno ormai fa più attenzione a chi sei, nemmeno nel momento delle presentazioni, prendilo come un buon auspicio. Sarai un uomo impossibile da dimenticare. Io stesso, poco più grande di te, ebbi un viatico di non poco conto. Era l'estate del 52 e in un negozio di Forte dei Marmi mia madre incontrò Peter Van Wood, quello di “Tre numeri al lotto”. Sì sempre quello che successivamente, e fino a due anni fa, fu uno dei più noti astrologi nazionali. Il cantante notò la carrozzina, si affacciò, vide questo bambino, strabico e tutta testa, di pochi mesi e, forse per consolare questa giovane madre, orgogliosissima nonostante tutto, profetizzò: “Suo figlio sarà molto fortunato”. I fatti fino a oggi gli hanno dato ragione.
  
"Tre numeri al lotto" - Peter Van Wood

domenica 18 marzo 2012


18 marzo 2012

Tua madre deve averti scambiato per un melone. Ogni volta che ti concentri, e arrossisci un po', eccola che arriva ad annusarti là dove si annusano i meloni, perlappunto. “Fammi sentire se l'ha fatta”. E tu che la scruti con quello sguardo da duro che ormai è solo tuo. L'occhio sinistro socchiuso, la fronte corrucciata, come a dire: ma questa che cosa fa? Bella fortuna. Quando la mollava lei non c'era certo bisogno di indagare tanto. Era evidente. E allora la mettevi su fasciatoio, levavi il pannolino e dicevi “Che pussa!!!”. E lei rideva. Felice. Oggi siete stati qui a pranzo. C'era la bisnonna Silvia. “Diventa una bella ragazza. Te la portano via presto”. “Nonna... è maschio.” “beh... mo si capisce...”. Ljuba ti ha visto per la prima volta. Ti cullava fra le sue braccia. Indicava me. Dedushka. Per averti in braccio io, invece, mi sa che devo fare un'altra fuga a casa vostra in settimana. Soli noi tre. Tu, tua madre e io. E allora siamo tranquilli. Oggi un po' che mi sentivo osservato, sotto esame, un po' che ogni scusa era buona per averti loro, era tutto un “nooo... non così... reggigli la testa... oh... prima ti facciamo fare le prove con cicciobello” e via che ti riprendevano. Come se trentaquattro anni fa io non fossi stato il padre che lasciava tutti a bocca aperta perchè, in tempi in cui ancora nessun uomo lo faceva, nutriva e cambiava il bebè. Il papà che metteva la pupa nello zainetto e sfrecciava per Carpi in motorino. “Mo dio... ciai micca paura che casca?”. Il primo padre in aspettativa post partum che venne anche il TG2 a cercarmi e sei anni dopo Enzo Biagi. Ma questa è un'altra storia che fa ancora arrabbiare tua nonna. Dice che quell'aspettativa la presi per andare a lavorare a Radio Bruno mentre io portavo la bambina dalla nonna Lea e che lei faceva la figura della madre degenere che andava a lavorare. Questione di sapersi organizzarsi. No?

domenica 11 marzo 2012


10 marzo 2012

Un figlio dei fiori non pensa al domani. Mi piaceva questa canzone di Augusto. Ci credevo all'epoca e sostanzialmente ho sempre agito di conseguenza. Ma da quando ho sessant'anni, cioè da ieri, mi ritrovo a pensare un po' di più al tempo che rimane. A quanti anni avrò quando tu ne avrai diciotto, a quando sceglierai un lavoro, a quando uscirai di casa e con chi. "Chi è il vecchio e chi è il bambino?" mi chiedeva ieri mattina Carmela confermandomi indirettamente che anche al giornale stanno leggendo questo blog. Un complimento. Una frase di circostanza. Che però ha fatto centro. Mi piace pensarmi "vecchio" anzitempo. Un po' come la leggenda vuole che fosse Angela Lainsbury, sospettata di farsi plastiche al contrario, quando aveva cinquant'anni, per sfruttare più a lungo la sua età d'oro nel personaggio di Jessica Fletcher. Ma resto profondamente bambino. Ingenuo, generoso. Lo sono sempre stato mio malgrado. E onesto intellettualmente. Il calcolo non mi appartiene. Quando ci ho provato la vita ha comunque agito a modo suo. Senza tenerne conto e regalandomi opportunità migliori e nemmeno immaginate. Le tue giornate sono ancora molto semplici. Latte, cacca, nanna. Nanna, cacca, latte. Ma presto dovrai cominciare a rapportati con tutti noi, tua madre per prima, in un modo più complesso. Dovrai elaborare le tue piccole astuzie. Fallo solo per gioco. Mai per calcolo. Sarebbe tempo perso.

martedì 6 marzo 2012


6 marzo 2012

Incontro di quattro generazioni. Domenica scorsa per la prima volta hai fatto il tuo ingresso trionfale a casa nostra. L'occasione era il compleanno di tua bisnonna Silvia. Novantaquattro. “Viene su bene la bambina?”. “E' un maschio, nonna. Si chiama Valentino”. Ti ha messo a fuoco, tranquillo, era solo un po' stordita dall'emozione. Tanto che poco dopo ripeteva “E' proprio bella!”. “E' un maschio, nonna”. “Ah... sì... e io che cosa ho detto?”. Ci farai l'abitudine. Avrai tempo di dirglielo tu personalmente. Tanto arriveremo a novantacinque, novantasei e oltre.


La prima volta da noi. Scusa se tua nonna non ti ha fatto fare il tour classico della casa. Credo non volesse che ti accorgessi che la stanza per te ancora non c'è. Ma ci stiamo organizzando. Io invece avrei voluto portarti sul balcone. Era una bella giornata di primavera e avrei voluto farti godere del paesaggio. Che poi è quello che vedi nella copertina di questo blog. Il colpo di fulmine che ci fece innamorare di questa casa. Per me, nato nel paese più piatto del mondo, dove se dalla piazza centrale guardi una via ne puoi seguire il tracciato fino a che non finisce nella campagna, era come stare seduto davanti a un dipinto dell'ottocento. Faremo tante passeggiate. Tu, io e Peggy.
I


domenica 4 marzo 2012


4 marzo 2012

Chissà, chissà domani, su che cosa metteremo le mani...” Ce lo chiedevamo trent'anni fa, cantando negli stadi, con Lucio Dalla, “Futura”. Me lo chiedevo guardando tua madre bambina, mentre la addormentavo, seduto sul pavimento accanto al suo letto. Erano gli anni dei russi e degli americani, dei missili a testata atomica incrociati, della certezza che se qualcuno li aveva costruiti prima o poi li avrebbe usati. In Italia erano gli anni del terrorismo, dei rapimenti e degli omicidi politici, della paura di andare al ristorante la sera. Poi a Berlino il Muro è caduto, i regimi comunisti con lui, l'America ha trovato altri nemici, internet ci ha catapultati in un'altra dimensione. Agnese è diventata donna e proprio quando le preoccupazioni sulle incognite del suo futuro si diradano eccoti qui. “E chissà come sarà lui domani, su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani...” Era ancora Lucio Dalla, nel giorno in cui a Bologna gli davano l'ultimo saluto, che mi tornava in mente, oggi, guardando la tua faccia, immacolata come un libro tutto da scrivere.

sabato 3 marzo 2012


3 marzo 2012




Zenzero, cannella, coriandolo, peperoncino. Quando saremo soli comincerò a farti conoscere i colori del mondo. Non sai fino ad ora che cosa ti sei perso. Prima in gravidanza niente salumi e niente verdure se non al sapore di amuchina. Sdoganato il prosciutto, adesso che ti dà il latte tua madre deve stare attenta a qualsiasi spezia, compreso il condimento delle salsicce, “perchè il latte cambia sapore”. E ti credo, ma mica è un male se ti fai una ciucciata che sa di luganega. Qui andrà a finire che non vorrai mangiare il gnocco fritto. O, peggio, lo chiamerai "lo gnocco fritto", come ti insegnerà qualche maestra senz'anima. Cinquant'anni fa, quando ero bambino io, non conoscevo il sapore della pizza. A Carpi, profonda Emilia, nessuno la faceva se non qualche immigrato a casa sua. Ancora oggi se a certi miei coetanei e concittadini nomini il peperoncino ti guardano come un meridionale cui parli del burro: inorriditi. Il cibo è cultura e comunicazione. Oltre che amore. E contro la globalizzazione, almeno a tavola, non ho assolutamente nulla da dire.