domenica 11 marzo 2012


10 marzo 2012

Un figlio dei fiori non pensa al domani. Mi piaceva questa canzone di Augusto. Ci credevo all'epoca e sostanzialmente ho sempre agito di conseguenza. Ma da quando ho sessant'anni, cioè da ieri, mi ritrovo a pensare un po' di più al tempo che rimane. A quanti anni avrò quando tu ne avrai diciotto, a quando sceglierai un lavoro, a quando uscirai di casa e con chi. "Chi è il vecchio e chi è il bambino?" mi chiedeva ieri mattina Carmela confermandomi indirettamente che anche al giornale stanno leggendo questo blog. Un complimento. Una frase di circostanza. Che però ha fatto centro. Mi piace pensarmi "vecchio" anzitempo. Un po' come la leggenda vuole che fosse Angela Lainsbury, sospettata di farsi plastiche al contrario, quando aveva cinquant'anni, per sfruttare più a lungo la sua età d'oro nel personaggio di Jessica Fletcher. Ma resto profondamente bambino. Ingenuo, generoso. Lo sono sempre stato mio malgrado. E onesto intellettualmente. Il calcolo non mi appartiene. Quando ci ho provato la vita ha comunque agito a modo suo. Senza tenerne conto e regalandomi opportunità migliori e nemmeno immaginate. Le tue giornate sono ancora molto semplici. Latte, cacca, nanna. Nanna, cacca, latte. Ma presto dovrai cominciare a rapportati con tutti noi, tua madre per prima, in un modo più complesso. Dovrai elaborare le tue piccole astuzie. Fallo solo per gioco. Mai per calcolo. Sarebbe tempo perso.

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